Nazia era il tassello che mancava. Porterà qualcuno a parlare?
L’arresto della madre di Saman risultato non scontato, che proietta le parti verso l’Appello
L’ultima immagine che avevamo di lei è cristallizzata in quel sorriso sfoderato abbassando la mascherina ai controlli dell’aeroporto di Malpensa e ripreso dalle telecamere di sicurezza. Era il 1° maggio 2021, Saman era morta ammazzata da alcune ore, già sepolta – si presume – sotto quel metro e mezzo di terra scavato nella campagna di Novellara dove qualcuno sperava venisse dimenticata. E lei, la madre, stava partendo per il Pakistan con il marito, lasciandosi dietro le spalle due figli: uno che presto avrebbe cercato la fuga, l’altra brutalmente uccisa. Come strideva quell’espressione col buio della fossa fredda dove Saman giaceva, abbandonata e vinta.
L’arresto di Nazia Shaheen è la prova che per i titoli di coda, in questa storia, non è ancora tempo. È il pezzo che mancava nel quadro di una tragedia vera di cui in questi tre anni, anche noi da cronisti, abbiamo provato a scandagliare ogni angolo. Una tragedia di cui molto si è accertato, ma altro ancora manca. Come venne convinta Saman a uscire di casa quella notte? Chi materialmente mise fine alla sua vita? Neanche la sentenza di primo grado, che condanna i due genitori all’ergastolo e lo zio a 14 anni, lo riesce a stabilire pur indicando in loro i responsabili.
Nazia Shaheen, in tutti questi anni di latitanza, si è sottratta all’appello delle responsabilità per la fine violenta di una ragazza, sua figlia, che sognava soltanto di essere libera. E che se era tornata a casa, dopo la denuncia per il matrimonio forzato, lo aveva fatto anche per le sue suppliche. Nazia, invece, l’ha tradita. Quella notte ha accompagnato la figlia all’appuntamento con la morte. La sentenza lo ha scritto nero su bianco e quegli ultimi passi nel buio di Saman sono stati immortalati per sempre dal sistema di video sorveglianza: accanto alla ragazza con la giacca e lo zaino sulle spalle, verso la carraia dove la 18enne pensava l’aspettasse la libertà e invece avrebbe trovato la morte, c’è la donna. La si vede fermarsi per dire al marito di restare indietro e loro due proseguono insieme, sole. Pochi istanti più tardi, quando torna indietro senza la figlia, il passo è veloce. Sembra tirata. Non si volta mai indietro. Sono i nostri occhi a voler leggere nei suoi gesti la consapevolezza dell’orrore?
L’arresto di Nazia Shaheen – tre anni dopo l’omicidio di Saman, quasi sei mesi dopo la sentenza di primo grado – è clamoroso. Così come lo era stato quello di Shabbar, la cui estradizione realizzata nel settembre 2023 era stata definita senza mezzi termini «eccezionale» per la diplomazia e gli investigatori italiani. Lo è ancora di più per lei, una donna. Un altro risultato importante per la procura di Reggio Emilia e i carabinieri, dopo che tutti gli altri indagati uno a uno sono stati arrestati e giudicati. Vuol dire che non si sono fermati. Che si punta diretti al processo di secondo grado: ci sono ancora pochi giorni per depositare la richiesta di appello. La prima sentenza ha escluso la premeditazione, assolto e liberato i cugini. Dagli imputati – è stato rimarcato in aula – è sempre mancata una parola di pietà verso Saman, figlia, nipote, cugina. Ma anche il racconto univoco, definitivo di quella notte. Il padre Shabbar Abbas pochi giorni fa ha voluto rilasciare ulteriori dichiarazioni al procuratore Paci. Ha difeso a spada tratta la moglie, ma neanche lui ancora ha detto chi ha ucciso Saman. L’arresto di Nazia finalmente porterà a questa svolta?l © RIPRODUZIONE RISERVATA